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Direttore: Alessandro Plateroti

Previsioni economiche del 3 dicembre: divergenze.

Bandiera americana

E’ passato circa un mese dal 5 novembre, una data che verrà ricordata spesso nei prossimi 4 anni (e probabilmente non sarà mai dimenticata dal Partito democratico, la cui sconfitta è andata probabilmente oltre le peggiori aspettative).

Prima del “d-day” i mercati avevano assunto un atteggiamento molto “pro-Trump”: già nei 30 giorni precedenti, infatti, si era notata, da parte di molti investitori, quella che, in maniera molto efficace, il “solito” acronimo sintetizza in “FOMO” (fear of missing out, letteralmente “paura di essere esclusi”), vale a dire, in parole molto semplici, la “paura di perdere il treno” (dei rialzi). Un atteggiamento che il mese di novembre (e l’inizio di dicembre) hanno assolutamente confermato.

Dalla data dell’elezione di Trump, gli indici USA hanno avuto una “progressione” che li ha divergere sempre di più da quelli europei, schiacciati da una situazione piuttosto complessa e articolata, dove le vicende economiche e politiche si intrecciano in maniera stretta, con l’aggiunta di settori manufatturieri di solito “trainanti” per l’Europa oggi in crisi profonda (si scrive crisi, si legge automotive, come il caso Stellantis conferma molto bene).

Nell’ultimo mese (chiusure di ieri sera), il Dow Jones ha guadagnato il 6,78%, lo S&P 500 il 5.40%, il Nasdaq il 5,50%, il Russell 2000 (quello che riunisce le small-mid cap USA) addirittura il 9,69%.

Di contro, il CAC 40 (Parigi) ha fatto segnare circa  – 2,13%, il ns MIB – 2,83%, l’Eurostoxx è rimasto piatto (– 0,11%). Fa eccezione la Germania, il cui Dax, quasi incredibilmente, vista la situazione in cui si trova quel Paese, ha performato del + 4%. Una divergenza confermata anche dal cambio €/$, sceso ieri a 1,048 (1 mese fa era a circa 1,10).

Certamente l’aspetto “emotivo”, come la storia continua ad insegnarci, ha una valenza molto importante. In fondo il FOMO di cui sopra non è altro che questo: compro equity perché sono convinto che si verranno a creare condizioni (di politica economica prima ancora che veri e propri segnali di ripresa economica) che daranno “benzina” ai mercati, che vedranno, da qui in avanti, le quotazioni crescere. Quindi compro oggi a minor prezzo quello che più avanti potrebbe costare molto di più.

Ma non di sola emotività vivono i mercati. E la situazione americana ce lo conferma ogni giorno.

Ieri, per esempio, è stato l’indice Ism manufatturiero, che misura la “fiducia” dei responsabili acquisti, a spingere gli indici americani: dal 46,5 di ottobre, e contro attese di 47,5, ha fatto segnare + 48,4. Ma non solo: i nuovi ordini hanno superato 50 (50 è lo “spartiacque” tra un’economia “flat”, e quindi un po’ “asfittica”, e un’economia “in crescita”). Quindi, questo, in sintesi, è quello che ritengono gli investitori, con Trump, pur essendo passato neanche 1 mese, le cose stanno già migliorando e in futuro non potranno che andare meglio. In più, altra considerazione non marginale, l’attività manufatturiera “pesa” sull’economia “a stelle e strisce” solo il 20%, essendo basata per circa l’80% sui consumi e sui servizi. E negli ultimi mesi gli uni e gli altri non hanno quasi mai deluso (domani sono previsti i nuovi dati).

In più, a dare nuova forza ai listini USA, la nuova “minaccia” trumpiana, questa volta rivolta ai Paesi emergenti (i famosi Brics, anche se forse il termine è un po’ obsoleto, se non altri perché comprende ancora la Russia, un’economia che certo non è diventata sviluppata, anzi, ma che oggi, a livello geo-politico, possiamo considerare “fuori dai radar”): in sostanza il Presidente eletto si è detto pronto a imporre anche a loro dazi nell’ordine del 100% laddove pensassero di “eleggere” una nuova valuta al posto del $ per “regolare” gli scambi internazionali.

C’è poi un aspetto di “stagionalità”: infatti, è statisticamente provato che il mese di dicembre è quello che, più di altri, si “presta” a “rally” da parte dei mercati azionari. E’ “storia provata” che, se guardiamo agli ultimi 100 anni, solo 1 volta questo mese si è rivelato il peggiore dell’anno (nel 2018, quando perse il 9,56%, quando Powell, un po’ a sorpresa, non solo aumentò i tassi, portandoli dal 2,25 al 2,50% – e non si era ancora nell’epoca della “grande inflazione” – ma, soprattutto, andrò contro le attese di una interruzione del quantitative tightening, vale a dire la politica di riduzione del bilancio federale): di contro, settembre lo è stato per ben 13 volte, agosto 12, maggio 11, ottobre 10, etc.

Anche qui, peraltro, nulla è casuale: dicembre, come ultimo mese dell’anno, è il periodo in cui non solo “brillano” gli alberi di natale e gli addobbi natalizi, ma anche quello in cui banche d’affari e società di asset management si preparano a mettere in evidenza, ai loro clienti, i numeri e le performance ottenute durante l’anno. E tutti vogliono presentarsi in “testa al plotone”: un po’ come nelle gare ciclistiche, quando ci si avvicina una salita difficile e i protagonisti vogliono affrontarla nelle prime posizioni.

Dopo i nuovi record di ieri sera a Wall Street, gli indici asiatici del Pacifico confermano la voglia di crescere.

A Tokyo il Nikkei sale di quasi il 2% (1,91%).

Bene anche Shanghai (+ 0,44%), sulle voci di conferme, da parte della Banca del Popolo, di politiche monetarie accomodanti.

A Hong Kong, l’Hang Seng dello 0,86%.

A Seul Kospi + 1,86%. E anche a Taiwan “spende il sole” (Taiex + 1,28%).

Futures positivi in Europa (Eurostoxx + 0,31%), sulla parità a New York.

Petrolio poco mosso, sempre intorno ai $ 68,42 (+ 0,37%).

Gas naturale Usa sempre debole ($ 3,196, – 0,96%).

In ripresa l’oro, a $ 2.668,90 (+ 0,30%).

Spread sui livelli di ieri (121 bp).

Rendimento BTp al 3,26%.

Bund 2,05%.

Treasury al 4,21%, in leggerissimo rialzo rispetto alla chiusura di 4,194%.

€/$ 1,051.

Bitcoin che non si sposta dall’area $ 96.500/97.500.

Ps: “Ogni scarrafone è bell’a mamma soja”. Mai detto, probabilmente, è più vero. Non ci sono latitudini, storia, cultura, idiomi linguistici che tengano. Come altro si può definire la decisione di Biden di concedere la “grazia” al figlio Hunter, evitandogli processi (è accusato di reati fiscali, ma in passato ha avuto problemi con le droghe e con il possesso illegale di armi)? Di certo un comportamento, quello del Presidente uscente, che rende ancora più mesta la sua esperienza di Commander in Chief…

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ultimo aggiornamento: 3 Dicembre 2024 8:54

Previsioni economiche del 2 dicembre” “il brutto anatroccolo”.